Poesia “Rapsodia Aversana”

Quest’oggi vogliamo condividere per la sezione “Dicono di noi” una poesia di una persona che ha avuto il pensiero di citarci tra i versi!

Buona Lettura!

RAPSODIA AVERSANA

   

     Guardando basilisco venenoso

      lo so isguardare  face l’om perire…

                                        Jacopo da Lentini

  

 

Uff, ohi quanta burbanza!

Quanta algosa barba verdastra!

Sono mille anni ormai

di strafatta retorica ed io voglio

semplificarla questa storia

e raschiar via croste e scaglie!

Mi infastidisce l’esotico

invaghimento che affligge

il mio paese natìo.

Ovvia tenetevi le vostre ubbie,

crapuloni normanni,

ehm… quanta fasullagine!

Dove vanno errando gli spettri

dei tuoi conti stranieri, Aversa?

In qual diroccati castelli

tra le nebbie svaniti

del rio tempo che fu?

E oggi? Ti ritrovi un museo

di antichità scompaginate

tra le vie sommerse nello smog

e fra i ricalchi del cemento;

arida al par d’inospite iddio!

E voi, Muse aversane,

accompagnate gli stravaganti

versi col girovago suono

dell’organetto di Barberia,

che nei meriggi assolati

udivo perdersi mesto e annoiato

nel dedalo delle stradine!…

        *         *         *

   Oh, le vecchie cose! le vecchie case!

Vagava per le strade sporche,

sui lastrichi malridotti e vacillanti

della rovinata contea,

stremato dai morsi voraci

delle mosche e dell’esotiche

ziiinzzzalae, anch’esse invaditrici

e, ancor più, suggenti pungitrici!

Non era un redivivo normanno

né rimpiangeva il passato,

se non per l’antico, compatto

e saldo lastricato.

Là, qualche giardino superstite

ridente ancor d’ agrumi nel sole,

limoni e mandarini;

trascurata, nell’ombra,

un’ ortensia languiva.

Vagava per viuzze ascose;

ivi degli inverni dura il sentore

e il musco intride le vecchie mura

del decimo terzo… del decimo sesto…

del diciottesimo?… ah, i secoli!

Da incuria svilite, quelle mura,

più che dal mazzafrusto dei venti,

intricate nel tufo dei secoli

offeso da rozze geometrie

in uniforme di cemento!

Vagava… tra ombre onerose

prone nell’inane preghiera,

sotto la muraria rigidità

delle torri campanarie.

Non era un redivivo normanno

né rimpiangeva il passato:

campanili, tonache,

prelatizie berrette,

ecco l’eredità dei barbari,

w la Breccia di Porta Pia!         

         *         *         *

   Ah, quanti vicoletti

gremiti d’ombre remote…

Quando la pioggia ne lustra il basalte

le vedi specchiarsi e flottare

in quelle lastre brunite, oh, le ombre!

   Ancora spavaldi i portali

catalani! Le finestrelle,

i vetusti architravi,

una bifora sperduta lassù,

premuta nel moderno ciarpame.

Seriose, le monasteriali

monofore di Santa Maria de Platea,

calate le palpebre d’ombra,

se ne stanno in disparte, fissate

all’antico stile romanico

da un mistico tocco d’oriente.

Il castello di Ruggero e San Biagio,

via Madonna delle Nevi

con la cappella sconsacrata:

in quali lontani inverni

oh! qui le nevi posarono

insolitamente tanto candore?

Via Monserrato, via Drengot,

via Conte Riccardo, via Santa Marta…

   Scorso tutto il medioevo

non lasciò le ricordanze spagnole;

quel quartiere tracciato a fil di squadra,

strade diritte, strade latine…

Vi tese l’orecchio a ispaniche voci,

andaluse, basche, catalane?

Nulla! Ma propinqui gli giunsero

echi risorgimentali:

parole d’ordine, inni, fanfare!

Via Solferino, corso Bersaglieri,

piazza Crispi, piazza Magenta

e ancora, toh! la via Magenta.

Bissato il nome della battaglia,

nella stretta dell’eroica pugna

tra le baionette incastrata

una fantastica Taberna Libraria,

la “ LIBRERIA QUARTO STATO ” !

Permettiamo a lui di indugiarvi,

lasciamolo un po’ riposare,

ché in questa Taberna c’è forse

il sunto del variegato percorso.

   Avete udito quella ispida voce?

Ein Gespenst geht um in Europa

Das Gespenst des Kommunismus

Vi figurate, squadre d’ operai

con berretto e fusciacca?… Nulla

di tutto ciò; solo, lì, avventori

borghesi! E, la quintessenza

del marx-leninismo, il dogma

classista? E il materialismo storico?…

Ascoltiamo una singolare voce

che non ha cadenza normanna,

la voce della leva leninista:

 

“Sette giorni, dodici ore: non si vive più a lungo.

E brevi sono le ore e piccola la misura

del calendario…”

“Qui da noi le parole più profonde

diventano abitudine,

invecchiano come i vestiti…”

   Sono incisi nel bronzo proletario

i versi del fiero suicida!

Con lirica foga Maiakovski

scatena le sue parole d’ordine;

il martello batte l’incudine,

ritmi di fucina da fabbro,

nero fumo e baglior di faville…

E invero, l’alacrità dei suoi fabbri

vantava un tempo questa città!

   Accogliente l’ottocento librario!

E il libraio? Una figura

di onesto cospiratore.

Sorprendente! Un Carbonaro

in medaglione a cifra tonda

e aggiungete altresì una punta

di sostenuto rigor calvinista!

Frattanto, e in sottofondo,

un fruscio di falce che fende il fieno…

Ma sicuro! C’era una volta

gente contadina tra queste mura

“normanne”, e anche dapprima

e fino alla sua tarda gioventù,

quando scomparve la bella campagna

con gli alti pampini dell’ uva asprigna.

Fischiava allora la falce

laggiù nei campi assolati

e qui, tra le mura, tuonava percossa

dal fabbro l’incudine, mentre

cavava trucioli la pialla

e ne versava in giro la fragranza.

   Anche lui fa le sue compre:

classici latini, poi greci ed altra

merce reazionaria e retriva. Come!…

Alla “ LIBRERIA QUARTO STATO ” ?

E via, sfuggite il pregiudizio,

ché la libraia, attenta e cortese,

gli porge i volumi con la flemma

d’una mite dama romana!

Non vi smarrite in congetture,

non è il racconto di una seduta

spiritica, né siete sul set

d’un film dell’extra-normale;

non è qui che incontrerete

le ombre di Hébert o di Babeuf,

né le ciocche ricciolute di Marx

né tanto meno il fantasma di Mao,

siete semplicemente alla

“ LIBRERIA QUARTO STATO

sulla soglia del ventunesimo secolo!

Ancora il fruscio della falce

e il ritmo che picchia sull’incudine

nei versi de Il Poema di Lenin

 

“Stagni di lacrime sulla terra,

torbidi stagni di sangue…”

 

“Solitari sognatori

cercarono soluzioni in assurde utopie;

filantropi si ruppero il capo

contro l’aspra durezza della vita…”

   E ancora Marx detta il Manifesto:

Un fantasma geht um in Europa

Das Gespenst des Kommunismus

Sulle mura della Taberna ,

travolgendo le scansie dei libri,

scorrono corpose sagome

di omerici cavalli parlanti

nel muto racconto del cineasta

sovietico, l’immaginoso Dovcenko

“correte, correte!…corriamo…

non v’accorgete

che corriamo come il vento?…”

Epopee anche quelle di giorni

ormai trapassati, anzi remoti,

volati via come il vento!

            *         *         *

   Dalla scismatica bottega

venendo sulla via

non c’è l’antico muro a fronte!

Chiudeva quel muro il giardino

che nella calda stagione

l’eroica mischia inondava

d’un profumo di gelsomini.

Vergati da mano severa

i desolati versi

giova qui riportare…

 

 “Sulle oasi di palme soavi

s’addensano macchie scure…”

E ancor, vale aggiungere,

del moloc smodata è la brama;

d’ ingorde ganasce oggi

sono fabbriche i municipi!

Fronda o fior non procura il profitto,

e pur le gloriose vestigia

con i marmi degli avi

sfigura il cemento, importuno

con il suo squamoso grigiore!

Là, in quella Taberna,

forse l’ultima sala

delle aversane memorie,

d’ogni storica vanità

fornito è il compendio.

di Alvaro Tespaneo

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